Il digital journey dei macchinari connessi raccontato da Scm, Mfl Group, Aqseptence e Goglio - Industria Italiana

2021-12-31 12:29:28 By : Mr. William Wang

Macchine e linee di produzione automatiche non sono più una scatola nera. Sono sistemi che dialogano con l’azienda. È l’effetto digitale, risultato che può essere raggiunto con l’applicazione intensiva ed estensiva dell’Industrial IoT che abilita la nuova frontiera della servitizzazione e la formulazione di una relazione con gli utenti finali basata su “smart contract” ovvero su servizi digitali che rispondono a criteri di produttività avanzata, di performance e di disponibilità della macchina. Dati e informazioni resi disponibili da software as a service permettono a direttori di stabilimento, responsabili di prodotto, supply chain manager di pianificare al meglio le proprie attività dando un contributo alla valorizzazione del business aziendale.

Scm ed Mfl Group, Aqseptence e Goglio. Le esperienze del digital journey intrapreso dalle quattro multinazionali testimoniano del passaggio generazionale del manifatturiero italiano al paradigma dell’Industria 4.0 e dell’affermazione di nuovi modelli di business non più fondati sulla mera vendita di prodotto ma sul servizio. Per tutti, la criticità maggiore per implementare questa nuova dimensione di business consiste nell’acquisire nuove competenze. Come interpretare con successo il digital journey della macchina connessa?

Ebbene, il modello as a service lo si può sviluppare solo avendo il coraggio di uscire dalla propria comfort zone tecnologica, mettendo in discussione know-how, processi interni e ruoli consolidati. Automazione e competenze elettro-meccaniche non sono più sufficienti e devono essere traslate nel mondo digitale il cui fondamento è la connettività, la raccolta e l’analisi dei dati. Obiettivo che, come testimoniano i manager dei costruttori macchine, può essere colto solo ragionando in un’ottica di open innovation, contaminando il core business manifatturiero con nuovo ossigeno digitale.

Impegnarsi e investire in un percorso di digitalizzazione abilitante la servitizzazione non è più un’opzione ma una necessità. La sostenibilità economica e competitiva dell’intero settore è ormai segnata e dipende dalla capacità di predisporre un’offerta integrata fatta di servizi a valore aggiunto per rispondere alle nuove emergenti richieste degli utenti finali, che vogliono avere un pieno controllo – in real time e da remoto – della produttività, delle performance e dei processi manifatturieri-industriali. In assenza di una strategia digitale, per molte imprese il rischio è rimanere focalizzati sulla tecnologia di prodotto. Come continuare a essere competitivi? Serve adottare un approccio olistico che attiene al funzionamento della macchina, dell’impianto e delle linee automatiche, nella consapevolezza che le opportunità di profitto possono essere estese dal prodotto a tutto il ciclo di vita della macchina.

Il digital journey può essere influenzato da tutta una serie di eventi del tutto imprevedibili. Nel caso di Goglio, valore di produzione di 350 milioni di euro e leader europeo per le macchine destinate al packaging, l’accelerazione è stata determinata dalla precisa richiesta di clienti che hanno voluto iniziare a confrontarsi con il fornitore valutando un contratto basato su performance di impianto garantite. È lo smart contract ovvero una relazione fornitore-cliente non più basata esclusivamente sulla vendita di prodotti, ma su una soluzione as a service. Un modello di business, in qualche modo imposto dal mercato, che ha messo in discussione l’assetto complessivo dell’organizzazione e che si è concretizzato in un piano di sviluppo triennale in cui sono coinvolti tutti i dipartimenti aziendali. La storia di Goglio evidenzia come la digitalizzazione comporti una rivisitazione dei processi interni e la creazione di un’area di service per proporre soluzioni orientate a un continuo miglioramento. Macchine “IoT Ready”, in grado di raccogliere dati per acquisire performance produttive, sono i mattoni abilitanti i livelli di servizio che vengono definiti con i clienti.

Il piano triennale è una vera mappa digitale dei progetti, in corso e futuri, che coinvolgono processi interni, servizi avanzati e smart machine. «In questo modo riusciamo a tenere traccia di tutte le componenti coinvolte nei progetti, evidenziandone le correlazioni, dice Marco Bressanello, innovation e servitization manager dell’azienda. Ciò significa poter ottimizzare e valorizzare quello che di volta in volta viene realizzato con ciascun progetto». Per Goglio, vendere macchine con un modello smart contract è un qualcosa che può avvenire soltanto con un commitment dell’intera organizzazione. Essenziale è avviare una campagna di informazione e comunicazione interna che renda tutti i dipendenti consapevoli delle nuove opportunità. Tutti i dipartimenti devono lavorare in modo coordinato per un obiettivo comune. La criticità maggiore nel gestire un business di questi tipo? «Il fattore tempo, afferma il manager della multinazionale del packaging. Ci sono voluti tre anni per trovare una via ben definita ma alla fine ci siamo riusciti e lo smart contract a performance garantite è diventata la strada maestra per dare al cliente un’opportunità di miglioramento continuo della produzione».

700 milioni di euro, 4mila dipendenti, 3 poli industriali, presenza in 5 continenti, 7% del fatturato investito in R&D. E’ la fotografia di Scm Group,  azienda leader a livello mondiale nelle tecnologie per la lavorazione di una vasta gamma di materiali tra cui legno, plastica, vetro, pietra, metallo e materiali compositi. L’obiettivo, come affermato di recente da Marco Mancini, amministratore delegato della multinazionale, «è quello di sviluppare prodotti e servizi basati su soluzioni tecnologiche ancora più efficienti, flessibili e di più semplice utilizzo per il cliente finale, che possano garantire al cliente processi produttivi in linea con le nuove esigenze della smart manufacturing e dell’Industria 4.0 e favorire una maggiore sostenibilità nell’impiego delle risorse».

Tuttavia, la trasformazione digitale non s’improvvisa. Come racconta Dario Bellatreccia, direttore IoT e digital services di Scm , «Per aver successo occorre avere una visione e una strategia, nella consapevolezza che quello che si vuole realizzare necessita di competenze addizionali rispetto a quelle esistenti». Come dire, ingegneri meccanici ed elettronici hanno fatto la storia dell’automazione industriale, ora è arrivata l’ora di coniugare queste competenze con quelle digitali; che nascono altrove, in startup e spin-off universitari, o in centri di competenza nazionali e territoriali. È con questa logica, per esempio, che Scm è entrata a far parte di MindSphere World, – l’associazione fondata in Italia che promuove il sistema operativo aperto e basato su cloud MindSphere di  Siemens – convinta del fatto che il confronto e dialogo con altri player industriali del settore possano contribuire attivamente alla trasformazione digitale e alla definizione di nuovi modelli di business.

Da parte di tutte imprese con cui Industria Italiana si è confrontata nel corso dell’evento sulle macchine connesse organizzato da 40Factory – startup piacentina focalizzata sul machine learning industriale – emerge chiaro un messaggio: bisogno portare in azienda risorse con un profilo di competenze diverse da passato. Non si tratta di rottamare l’esistente, tutt’altro, ma di affiancare il know-how ingegneristico del manifatturiero a quello digitale. In altre parole, serve cortocircuitare la cultura aziendale integrando i due diversi mondi, che devono trovare una convergenza strutturale, di processo e di servizio. E’ quanto sta avvenendo in tutte le imprese che hanno iniziato il digital journey, realtà manifatturiere – come Scm, Mfl, Aqseptence, e Goglio – dove l’evoluzione viene declinata attraverso uno sviluppo organico che fa leva su competenze core e su un percorso di open innovation che prevede l’integrazione di risorse esterne.

L’innesto di nuova cultura premia e serve a contaminare l’azienda di nuove idee, riuscendo a guardare il business attraverso prospettive diverse e inusuali. Per paradosso la forza dei costruttori di macchina è allo stesso tempo una vulnerabilità. Come emerso dalle affermazioni dei diversi manager delle aziende con cui ci siamo confrontati il messaggio è chiaro: se non si esce dal loop tecnologico si rischia di rimanere in mezzo al guado senza riuscire a cogliere quelle che sono le opportunità che stanno nascendo sulla sponda opposta, quella della digitalizzazione, che inizia a popolarsi di nativi digitali, player di nuova costituzione che hanno intuito che sui dati macchina si possono fare soldi. Insomma, se non ci si muove rapidamente un domani saranno altri a fare quello che il mercato inizia a domandare. Per dare concretezza a questo processo significa quindi entrare nel merito di un change management, che deve essere interpretato e organizzato sulla base di un commitment del vertice dell’impresa poiché l’inerzia al cambiamento in mercati maturi come quelli del machinery crea uno stallo e non produce altro che business as usual o quanto meno solo miglioramenti incrementali, non più sufficienti a garantire una competitività nel medio e lungo periodo.

Dopo la tempesta Covid i fornitori di prodotti devono affrontare il “new normal”, un periodo di nuova normalità la cui specificità è data dalla componente di servizio digitale. I costruttori di macchine sono troppo focalizzati sulle competenze tradizionali, occorre un cambio di passo. E non si può pensare che siano i clienti che, in modo spontaneo, condividano un nuovo modello di business. Le imprese che forniscono i mattoni produttivi del manifatturiero italiano si devono quindi porre come avanguardia, iniziando a costituire strutture interne o separate con un goal ben preciso: individuare le nuove forme di servizio che possono essere associate al funzionamento all’utilizzo della macchina e tradurle in soluzioni reali. Come dice il manager di Scm, «Mettiamo nelle mani dei clienti macchine che costano un sacco di soldi ed è quindi bene non sottovalutare il valore che queste possono generare nell’arco del loro utilizzo».

Il digitale permette infatti di tradurre i dati macchina in informazioni vitali che possono contribuire a migliorare key performance aziendali e la domanda chiave che ci si deve porre è comprendere la quota margine che può essere estratta dall’identità digitale dello specifico asset. È un esercizio win-win che promette vantaggi per entrambe la parti: fornitori e clienti. «In quanto costruttori di macchine in questo momento godiamo della fiducia del cliente – aggiunge Bellatreccia – siamo in una posizione privilegiata per essere i primi a monetizzare un nuovo modello di business, non possiamo perdere questa occasione». E vanno gestite e rimosse le resistenze interne, che sono e saranno sempre presenti in concomitanza a ogni grande cambiamento. Il valore si posta dal prodotto al servizio ed è chiaro che in azienda questo passaggio venga da alcuni percepito come un possibile disvalore delle proprie competenze. Informazione e comunicazione corretta trasversale a tutta l’azienda è perciò fondamentale per fare in modo che si proceda tutti uniti, nella consapevolezza che l’obiettivo risponde a un interesse collettivo.

«La digitalizzazione è un cambio di paradigma, dalla vendita di macchine automatiche alla servitizzazione basata su servizi associati e funzionali alla vendita della macchina. Questo però non vuol dire diventare un’azienda di servizi ma dar forza alla macchina e al core business manifatturiero». È quanto afferma Davide Collini, responsabile r&d e innovazione di prodotto di Diemme Filtration , il brand italiano della multinazionale tedesca Aqseptence, specializzata nella produzione di macchine filtri-pressa industriali per la separazione solido-liquido, che vanta 72 milioni di euro di fatturato, più di 500 installazioni in 56 diversi paesi e 128 dipendenti. «Per noi digitalizzazione ha significato fin da subito una cosa molto chiara: passare da una logica problem solving – tecnologica, di prodotto e di macchina – a una orientata a individuare i reali bisogni del cliente. Sembra una banalità ma è uno dei problemi che abbiamo dovuto risolvere a livello organizzativo fin da quando abbiamo iniziato a parlare di digitalizzazione e immaginare nuovi modelli di business. Tutto questo genera la necessità di costruire una visione strategica di quello che sarà la nostra macchina nei prossimi vent’anni. L’IIoT è la prossima generazione tecnologica così come l’automazione industriale lo è stata nell’ultimo ventennio»

Anche per Diemme Filtration il tema centrale è quello delle competenze. «Come prima cosa, racconta Collini, abbiamo spostato il responsabile dell’automazione nel team di ricerca e sviluppo spingendolo a occuparsi di automazione digitale, una decisione che è nata con il preciso obiettivo di spingere i dipendenti a uscire dalla propria comfort zone tecnologica e confrontarsi con nuovi problemi. Entrare nel merito della digitalizzazione, significa affrontare un campo ignoto dove le competenze sono tutte da formare. La sfida è riuscire a sviluppare e includere nuove competenze in modo che queste si integrino con il core business aziendale, basato su know-how di automazione e meccanica industriale, facendo emergere progetti di servitizzazione. La velocità con cui evolvono le tecnologie digitali è esponenzialmente più veloce di quanto un’azienda manifatturiera possa immaginare. Serve quindi un legame forte con tutte quelle realtà che possono contribuire a un trasferimento tecnologico del nuovo sapere, consapevoli del fatto che il business digitale deve avere una governance d’impresa. Esternalizzare questa funzione sarebbe un errore».

Come accelerare la trasformazione digitale? Per Mfl Group, quartier generale nella provincia di Lecco – una manifattura ultracentenaria che produce trafilatrici per acciaio, rame e alluminio e cordatrici e linee di estrusione per funi e cavi – la partita della servitizzazione implica la ricerca di un nuovo assetto di competenze. «A partire dal 2017, spiega Andrès Cartagena, abbiamo iniziato a pensare a nuovi progetti confrontandoci con dipartimenti interni, ma ci siamo accorti che le competenze per avviare una digital transformation erano inesistenti: né la parte di automazione né la componente meccanica erano in grado di generare idee che potessero dare vita a soluzioni Industrial IoT. Nemmeno l’organizzazione It, quella che si pensava più vicina a questa nuova prospettiva applicativa si è rivelata adatta a questo obiettivo. Si doveva prendere un’altra strada aprendosi verso l’esterno». La verità che emerge dalla storia di Mfl è da manuale: le competenze core business manifatturiere di automazione, meccaniche ma anche IT che sono presenti all’interno delle aziende non sono adatte per dare concretezza a soluzioni innovative. Quale la modalità per dare concretezza al digital journey? «Alla fine si è deciso di far convergere le attività in un unico programma, denominato Mfl-X , che potesse godere di una sua autonomia e indipendenza, senza essere ostaggio della rigidità e burocrazia che inevitabilmente è presente in una struttura tradizionale».

Decisiva è stata la collaborazione con Siemens, che ha portato MFL ad essere tra i co-fondatori di MindSphere World Italia, e l’integrazione di nuove risorse focalizzate su tecniche di apprendimento machine learning. «A seguito di tutte queste iniziative nel 2019 siamo riusciti a mettere a punto la prima linea di produzione Mfl-X connessa basata su App MindSphere ». Da lì il programma si è esteso ad altri progetti. A oggi sono 23 i contratti software as a service che Mfl è riuscita a portare sul mercato. L’applicazione connette e analizza le linee di produzione, permettendo alle aziende clienti di controllare in modo accurato e puntuale il funzionamento, abilitando decisioni operative in tempo reale. Per dare piena concretezza a modelli as a service Mfl ha poi ridefinito processi di vendita e marketing. Insomma, l’esperienza di Mfl insegna che creare un business digitale non è una questione puramente tecnologica ma impatta trasversalmente varie funzioni di business. Ecco, quindi, la necessità di creare processi strutturati in grado di supportare una nuova domanda che, secondo quanto affermato dal manager del gruppo, dal prossimo anno crescerà in modo esponenziale.

Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 13 ottobre 2021

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