Abbiamo una siccità grave, sono a rischio molte colture e le centrali idroelettriche, il Pnrr di Draghi non basta più - ItaliaOggi.it

2022-06-25 12:46:35 By : Mr. Right Way

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«Chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati» è un vecchio adagio che sembra fotografare bene anche la politica attuale. Abbiamo la siccità più grave da 70 anni in qua, nella pianura padana sono a rischio il 30-40% delle colture, le centrali idrolettriche sono costrette a fermarsi. E per l'autunno si prevedono altri aumenti a raffica per famiglie e imprese, dai beni alimentari alle bollette elettriche, che si sommeranno ai rincari provocati negli ultimi mesi da una tempesta perfetta di fenomeni avversi: caro gas, caro materie prime, blocchi e rincari della logistica mondiale, guerra in Ucraina, rincaro del costo del denaro.

In un paese serio, è di questi problemi e della loro soluzione che la politica dovrebbe discutere, non delle solite beghe di palazzo, in perenne clima elettorale. Idem i talk-show, sempre più inutili e inguardabili: produzione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere. Ma in Italia, purtroppo, lo studio e la conoscenza dei problemi più acuti sembra che interessino solo a minoranze indipendenti, perciò ignorate. Risultato: di fronte alle emergenze, il rimedio viene proposto sempre con ritardo, quando il danno è fatto. E la soluzione, spesso rinviata.

Perfino il tanto decantato Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) non sembra sfuggire a questo andazzo. Circa tre mesi fa, il 22 marzo, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in occasione della giornata mondiale dell'acqua, disse alcune cose ovvie e assunse un preciso impegno. Cose ovvie: «L'acqua è un bene universale, di difficile accesso per più di due miliardi di persone nel pianeta. È un problema globale, che deve investirci come decisori politici e come singoli cittadini». L'impegno: «L'acqua è un bene che va preservato a tutti i livelli, a cominciare dalla rete idrica, che nel nostro paese disperde il 42% dell'acqua erogata. La Transizione ecologica deve migliorare e proteggere le nostre risorse idriche: con il Pnrr stiamo lavorando su questa tematica, per mettere in sicurezza l'infrastruttura, i bacini idrici e gli alvei naturali».

Belle parole, ma dopo tre mesi siamo ancora fermi alle dichiarazioni d'intenti e la protezione delle risorse idriche tramite Pnrr è di là da venire. L'unico fatto certo è che sulla spartizione dei fondi disponibili c'è stato l'immediato litigio tra Stato e Regioni. Il governatore della Toscana, Eugenio Giani, Pd, si è subito lamentato, perché i 57 milioni ottenuti dalla sua regione sono pochi rispetto al fabbisogno, a suo dire di almeno 80 milioni. Ma non è il solo. Già in marzo, la Coldiretti e l'Anbi (Associazione nazionale dei bacini idrici) avevano proposto «un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di piccoli invasi con un basso impatto paesaggistico. Laghetti da realizzare senza uso di cemento e in equilibrio con i territori per conservare l'acqua e distribuirla quando serve ai cittadini, all'industria e all'agricoltura, con una ricaduta importante sull'ambiente e sull'occupazione».

Anche in questo caso sono trascorsi tre mesi, ma finora non si è visto neppure uno di questi laghetti, che avrebbero avuto un effetto salvifico di fronte allo scioglimento totale di molti ghiacciai e alla secca del Po, già devastante per il 30-40% delle colture agricole, riso e mais in testa, con tendenza al peggio: 50% e oltre di colture agricole distrutte per mancanza d'acqua.

Per gli agricoltori si annunciano danni per miliardi di euro, e la Coldiretti, sul suo sito, preoccupata per il ritorno dell'ondata di caldo africano «Scipione», già devastante in maggio, torna a proporre al governo la costruzione dei laghetti per conservare l'acqua. Ma, a quanto pare, è vox clamantis in deserto, non più la potente sponda elettorale della Dc della prima repubblica, quando Paolo Bonomi, fondatore della Coldiretti, ai ministri dell'Agricoltura non chiedeva udienza, ma dava ordini da eseguire senza discutere.

Non meno preoccupata è l'Associazione dei produttori idroelettrici, i cui impianti (sono 4.400) sono per lo più concentrati al Nord, dove non piove da mesi e lo scioglimento dei ghiacciai ha prosciugato i bacini delle centrali, obbligando i gestori a spegnerle. Secondo i dati del Gestore servizi energetici, le centrali idroelettriche producono il 17,6% dell'energia elettrica nazionale, al secondo posto dopo le centrali termoelettriche (64,6%), ma più del fotovoltaico (8,9%) e dell'eolico (8,7%). L'81% è nelle regioni del Nord: 973 in Piemonte, 692 in Lombardia, più 569 in Provincia di Bolzano e 275 in quella di Trento. Per i produttori idroelettrici, lo spegnimento di questi impianti dovrà essere compensato da maggiori importazioni di energia elettrica, con inevitabile rialzo delle bollette nel prossimo inverno.

Già ora, tuttavia, le famiglie e le imprese del Nord devono fare i conti con la forte siccità, a causa dell'abbassamento delle falde idriche. Alcune regioni (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna) hanno già emanato divieti per alcuni usi dell'acqua, che preludono a possibili razionamenti. Basta scorrere i siti internet di queste regioni per toccare con mano quanto sia ormai grave il problema. In diverse province, le aziende che distribuiscono l'acqua hanno imposto il razionamento notturno e il divieto di usare l'acqua per usi non essenziali, come lavare l'auto, innaffiare i giardini privati e pubblici, riempire le piscine.

È un passo che precede il razionamento diurno, già in atto con l'impiego di autobotti in diversi comuni del Piemonte, la regione più colpita dalla siccità. Conclusione: pensato per attuare la rivoluzione green imposta da Bruxelles, il Pnrr ha sottovalutato il problema dell'acqua. E il «decisore politico» Cingolani farebbe bene a includere anche gli italiani nei due miliardi di persone che hanno difficoltà ad accedervi, e correggere il piano dove l'acqua serve davvero, con urgenza.

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