Beni Culturali - La Granfonte di Leonforte

2021-12-18 03:13:39 By : Ms. Zoe Zhang

"Tra i campi assolati, il mormorio dell'acqua preziosa".

Una litografia in bianco e nero, dimenticata su un muro d'altri tempi. Dentro una cornice sbilenca, anonima. Ma l'immagine, quella, potente e liquida: 24 cascate in posa, non mattoni e pietre, ma una macchina idraulica vivace, vibrante.

La didascalia completava l'umile stampa, dandole il suono.

La Granfonte era anche questo: armonia di forme e note impresse in mille cartoline incorniciate.

Il 1600 è un secolo difficile per la Sicilia, di crisi e carestie ed eventi catastrofici, nevicate eccezionali, pestilenze, terremoti ed eruzioni. In mezzo, la vita: la quotidianità di donne e uomini che non hanno fatto la storia ma che hanno contribuito a far progredire la storia. Una moltitudine di bambini nati, una moltitudine di bambini morti nel giro di due anni di vita.

Ma è anche un secolo di arte trionfante, le opulenze barocche hanno presto soppiantato la grazia rinascimentale e gli equilibri manieristi, e un'epoca di nuove fondazioni, città e borghi creati ex novo su antichi feudi per volontà di principi e baroni.

Fu nel 1613 che Nicolò Placido Branciforti ottenne la licentia populandi dal re di Sicilia Filippo II, e fondò nei propri possedimenti la città di Leonforte, ripopolando terre già abitate intorno al castello di Tavi, nel cuore agricolo della Sicilia.

La scelta del sito è guidata dall'esistenza di una copiosa sorgente ai piedi dell'antica fortezza arabo-normanna ormai abbandonata.

Acqua: è l'elemento che più ha influenzato la vita, la nascita stessa delle comunità (e con esse le civiltà, le leggi che regolano la convivenza, la produzione e il commercio, lo sviluppo delle strade).

Prezioso come e più del fuoco, fin dall'antichità l'uomo ha studiato come domarlo e piegarlo ai propri bisogni. Grandi maestri i romani, gli arabi ne faranno uno dei capisaldi della loro cultura, una vera e propria civiltà idraulica che in Sicilia lascia tracce nei secoli: dalle gebbie ai kanat, dai twill lungo gli agrumeti ai mulini ad acqua, dai gurne in cui fa macerare la canapa nelle vasche per la lavorazione dei lupini.

Il barone Branciforti, divenuto principe di Leonforte per regio privilegio, non volle un semplice abbeveratoio: per la sua città immaginò e commissionò un monumento all'acqua, affacciato su un fertile orizzonte, e visibile dal pendio della nuova città. Al centro, il possente palazzo baronale, in un gioco di sguardi tra i primi attori.

Il trionfo della potestà patronale, dono vano ai Leonfortesi da poco insediati.

Una facciata sinuosa, come onde barocche, alta quasi 9 metri; 22 finestre con vista sulle morbide e fruttuose colline; racchiusi nelle pietre, 24 cannoli in bronzo alimentano una vasca di oltre 24 metri.

È da qui che il sistema idrico che alimentava l'antico giardino barocco, le fontane ad altorilievo, i giochi d'acqua e i twillets di ispirazione araba, che, prima di gettarsi nell'orto botanico, si stendevano nei lavatoi utilizzati dai Le donne leonfortane fino agli anni Sessanta.

Sull'imponente frontone fiancheggiato da due leoni rampanti (simboli della famiglia, che ispirò anche il nome della città) ormai scomparsi, l'iscrizione latina su marmo recita ancora il messaggio di Branciforti al suo popolo:

"Bevono all'unanimità lo spirito, l'occhio, la gola: la linfa d'argento è così ricca e sana, [sgorga] per gli uomini da una nobile fonte resa civile dall'arte, finalmente libera dalla bruttezza. 1652"

Generazioni e generazioni hanno accolto l'invito della Granfonte, uomini e bambini allungati tra i getti d'acqua per dissetarsi, i volti bagnati di schizzi e riflessi per un attimo nella luce nobile di un'opera d'arte. Mille e mille litri poggiati sui bordi in pietra lavica e sollevati, umidi e freschi, sulle spalle o sul dorso degli asini.

Il ciclo rapido dell'acqua è perfettamente ideato: la prima acqua, potabile, viene gettata dai cannoli nella lunga vasca/abbeveratoio e disseta gli animali; da qui si scende ai lavatoi, poi giù per alimentare le fontane del giardino e dell'orto botanico.

Una variegata sinfonia fatta di gorgheggi, acquazzoni, zoccoli sui sassi, argilla su pietra, sapone sui mucchi, panni battuti sulla lava, canti, insulti, scherzi, ha portato in città la voce della Granfonte.

Solo una volta all'anno tace: il Venerdì Santo. Simbolo di vita e di armonia, anch'esso cede il passo alla morte divina.

Per poi esplodere ancora con la resurrezione, tutt'uno con la rinascita della natura, memoria viva dell'origine di una comunità.

La Granfonte si trova all'ingresso della città di Leonforte, ai piedi della via e dell'omonimo quartiere.

A pochi passi si può vedere la Fontana delle Ninfe o Fonte di Crisa, coeva alla Granfonte e recentemente restaurata.

La Porta Garibaldi, l'unica superstite delle 4 porte costruite dal Principe lungo le mura difensive e originariamente chiamate Porta Palermo, si apre a fianco della Granfonte e dà accesso all'antica strada per Enna, sulla quale l'Orto botanico, il Giardino di grandi dal Principe con giochi d'acqua ed essenze rare.

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