A Cooler Climate, il tesoro nascosto di James Ivory

2022-10-16 02:19:59 By : Mr. Kent Wong

C’è un'espressione che il più elegante tra gli scrittori statunitensi - Francis Scott Fitzgerald - fa ripetere spesso a Gatsby, e che si addice particolarmente a James Ivory, il più elegante tra i registi americani: old sport. Solo una “vecchia lenza” come Ivory, infatti, poteva partorire un titolo come A Cooler Climate, così perfetto, attuale e universale per un documentario che è invece intimo e quasi atemporale. Diversamente a quanto il titolo farebbe intendere, infatti, non c'entra niente il cambiamento climatico, non è questo il tema del film. 

Dopo aver ricevuto ventimila dollari (“una cifra principesca per l’epoca, il 1960”) per girare un documentario in India, a un trentaduenne James Ivory venne chiesto di realizzarne un altro in un paese limitrofo. Scoprì che a Kabul le temperature non salivano mai oltre i trenta gradi, e, esausto dal caldo di Delhi, decise che quel luogo con un “cooler climate” potesse fare al caso suo. 

Kabul e l’Afghanistan intero stavano attraversando un periodo che di lì a poco - e per molti anni - sarebbe rimasto pressoché inedito: un periodo di libertà, lontano da conflitti e costrizioni. “Il presente ormai superato era atteso impazientemente” dice la voce narrante di Ivory. Ma il documentario non parla di questo. Come ha affermato Giles Gardner, che ha co-diretto e co-scritto il film: “Abbiamo pensato, in una prima fase, che avremmo potuto raccontare le varie dominazioni in Afghanistan, ma poi abbiamo capito che le immagini che avevamo ci portavano da un’altra parte. Sono immagini di fiori e di alberi, di persone che vivono, non di guerra”.

Proprio Giles Gardner, montatore, sceneggiatore e regista britannico, è stata una figura chiave per la realizzazione di questo documentario. Tutto il girato, decine di pellicole, era chiuso in alcune scatole, dal 1960. Quando scoprì l’esistenza di questo tesoro pressoché dimenticato iniziò a studiarlo e si rese conto, poco alla volta, che ciò che credeva fossero dei frammenti poteva diventare un film vero e proprio. 

Ivory spiegò a Gardner che Bāburnāma, il memoir di Babur, imperatore indiano fondatore dell’impero Moghul e pronipote di Tamerlano, fu una lettura fondamentale per lui durante le riprese. A Cooler Climate diventa allora un documentario  con un triplice snodo. C’è la storia personale di Ivory, quella di un raffinato ragazzo omosessuale cresciuto in Oregon e in continuo peregrinare per il mondo, che a un certo punto della sua vita si innamorerà dell’India (e dall’India vedrà arrivare il produttore Ismail Merchant, collaboratore e poi amore della vita, e la sceneggiatrice Ruth Prawer Jhabvala - il terzetto lavorò insieme per cinquant’anni). Ci sono le immagini girate in Afghanistan nel 1960, che sono un insieme di piccoli dettagli, di immagini di vita che si compie davanti alla macchina da presa, di asini oberati da fardelli in strade polverose, di muratori che creano mattoni di fango, di bambini che giocano in acqua, di fiumi che scorrono. E poi ci sono le parole di Babur, una delle più antiche autobiografie della letteratura mondiale, uno sguardo su un mondo antichissimo (XVI secolo) con una sensibilità, invece, estremamente moderna, proustiana, come commenta Ivory.

“Mi sono reso conto - ha proseguito Gardner - che si era instaurato un legame magico tra Babur e le immagini girate da James, sembravano un’emanazione reciproca”. Questo perché, incredibilmente, l’Afghanistan degli anni ‘60 non era poi così differente da quella del 1500. Il film ci dice che in quei luoghi sembrano esserci stati più cambiamenti negli ultimi sessant’anni che nei precedenti cinquecento. 

Ne esce un ritratto sentimentale e profondo, pacato ed elegante, certamente autoreferenziale, ma non in modo sgradevole. Perché Ivory è un anziano signore del quale, vedendolo parlare, ammirando la sua splendida casa arredata con gusto sopraffino, vorremmo sapere di più, tutto. È proprio grazie alla leggerezza e alla gravità della vecchiaia che Ivory può serenamente dichiarare: “Non c’era un’idea formale dietro questo film, volevo solo scappare dal terribile caldo di Delhi. Ma per molti film è così, non c’è bisogno di una programmazione vera e propria: succedono”. 

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