Fact-checking: i cambiamenti climatici in 10 grafici

2022-07-31 08:50:06 By : Mr. qing zhu

A Glasgow è iniziata il 31 ottobre la  COP26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite  che rappresenta secondo gli scienziati  l’ultima spiaggia contro il cambiamento climatico. Perché non è più possibile tergiversare sulle politiche ambientali? Verso quale scenario catastrofico si sta dirigendo il mondo e quali paesi hanno le maggiori responsabilità nell’evitarlo? La risposta a queste e altre domande in  10 grafici su alcuni veri e falsi miti  legati al cambiamento climatico.

Dal periodo preindustriale (tra il 1850 e il 1900), si stima che le attività umane abbiano aumentato la temperatura media globale della Terra di circa 1 grado Celsius. Un numero che  continua a crescere di 0,2 gradi Celsius per decennio . Secondo l’ultimo rapporto dell’UNFCCC, senza ulteriori misure di mitigazione  il mondo è su una traiettoria di aumento della temperatura di 2,7°C  entro la fine del secolo, ben superiore al target il più possibile vicino agli 1.5°C stabilito negli accordi di Parigi. 

Il rallentamento economico causato dal  COVID-19 non ha avuto alcun impatto visibile sui livelli atmosferici dei gas serra  e sui loro tassi di crescita, sebbene si sia verificato un calo temporaneo delle nuove emissioni. La concentrazione di gas serra nell'atmosfera sta seguendo un andamento esponenziale che non mostra segni di cedimento e crea seri rischi per la salute. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità,  l'inquinamento atmosferico è responsabile di 7 milioni di decessi ogni anno , rappresentando così la quarta causa di morte a livello globale.

In  Hard Times , Charles Dickens descriveva una città fittizia chiamata Coketown, fatta di palazzi di mattoni che sarebbero stati rossi se non fosse per il fumo delle fabbriche. Condizioni non lontane da quelle della Londra dell’epoca in piena rivoluzione industriale. Ma a ben guardare rispetto al passato  oggi inquiniamo molto di più, complice uno sviluppo industriale  che da Londra ha raggiunto tutti gli angoli del mondo. E così solo negli ultimi 30 anni nell’atmosfera sono state immesse  871 gigatonnellate di CO2: una media di 29 all’anno . Per dare un’idea il peso dell’intera popolazione mondiale considerata come un’unica massa ammonta a circa mezza gigatonnellata.

Il settore dei trasporti, responsabile per circa il 16% delle emissioni globali di CO2 dovute alla combustione del carburante, è uno dei settori più inquinanti ma non quello maggiormente responsabile per l’emissione di gas climalteranti. Peggio fa ad esempio il consumo energetico legato ad edifici commerciali o residenziali ovvero  la generazione di elettricità per l'illuminazione, gli elettrodomestici, e il riscaldamento . Tuttavia, negli ultimi anni si intravede un leggero miglioramento con un aumento delle emissioni dei trasporti globali di meno dello 0,5% nel 2019 (vs l’1,9% medio annuo dal 2000) grazie alla migliore  efficienza dei motori,  all' elettrificazione  e al maggiore utilizzo di  biocarburanti.

Attualmente l’approvvigionamento energetico globale continua a essere basato sui  combustibili fossili, la cui combustione produce circa il 75% delle emissioni globali . Nel mix energetico globale i combustibili fossili nel loro insieme (carbone, petrolio e gas naturale) hanno un peso dell’81%, in leggera discesa rispetto all’86% di quarant’anni fa.  La quota delle fonti rinnovabili si ferma all'11% , ma è destinata ad aumentare se si considera la strategia di molti paesi di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e la costante decrescita del costo dell’energia prodotta attraverso di esse. 

Dipende dal punto di vista

A fronte di una popolazione di circa 1,4 miliardi di persone, la Cina è il primo consumatore di energia del pianeta. Inevitabilmente è anche al primo posto per quota di emissioni totali col 28%, il doppio rispetto agli Stati Uniti e tre volte l’Unione Europea. Ma se si guarda al dato pro capite la musica cambia con  l’americano medio che produce il doppio di tonnellate di CO2  rispetto al suo corrispettivo cinese.

Poco meno del  60% dell’energia consumata in Cina deriva dal carbone . In media il paese brucia ogni anno circa metà del carbone utilizzato a livello globale. Nel corso del 2021 ne ha estratte quasi  4 miliardi di tonnellate , toccando i massimi dal 2015. Questo aspetto convive però con un altro dato: la Cina è diventata il mercato leader a livello globale per pannelli solari, turbine eoliche, veicoli elettrici e produce circa due terzi delle celle solari installate in tutto il mondo.

La questione di  che peso dare alle emissioni storiche rispetto alle emissioni attuali  ricopre un ruolo centrale nei negoziati internazionali sul clima. Su di essa si basa infatti tutta la discussione riguardo alla  distribuzione tra paesi delle responsabilità  per la mitigazione del cambiamento climatico e dei relativi costi. Economie in via di sviluppo come, l’India, si sentono penalizzate a dover ridurre le proprie emissioni in una fase di piena crescita industriale, avendo  inquinato molto meno nel corso del tempo rispetto ad economie dove la maturità industriale è state raggiunta da decenni . Da qui la richiesta di questi paesi a quelli avanzati di 100 miliardi annui per favorire la propria transizione energetica.

Rappresentando più dell’80% del PIL mondiale, circa i d ue terzi della popolazione del pianeta e quasi l'80% delle emissioni di gas serra , i paesi del G20 possono – e dovrebbero – svolgere un ruolo di primo piano nel limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Tuttavia, numerosi studi indicano come gli impegni da loro indicati nei piani di riduzione delle emissioni previsti dall’accordo di Parigi  porterebbero verso un riscaldamento globale di 2,4°C . E anche prendendo in considerazione gli annunci fatti in previsione della COP26 si resterebbe sopra quota 2°C.

Di fronte alla crisi energetica che sta colpendo il mondo in ripresa dalla pandemia,  molti paesi hanno cercato sollievo nei combustibili fossili . La Cina ha incrementato la propria produzione, domanda e consumo di gas e carbone. Ma anche l’Europa si è rivolta al gas russo per provare a porre fine alle proprie carenze energetiche. Non sorprende quindi che a uno sguardo mondiale siano  solo 8 i paesi che stanno adottando politiche e investimenti ambientali tali  da poter pensare di raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi. La speranza è che dalla COP26 il mondo e questa mappa diventino un po' più verdi.

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