Georges Méliès. Dalle riprese in stazione, all’esplosione della fantasia

2021-12-28 07:24:52 By : Ms. Irene Hsia

Viviamo in un’epoca in cui il cinema ha fatto della spettacolarità la propria cifra stilistica, in cui le trame più elaborate e i personaggi più sfaccettati vanno supportati da una buona stimolazione sensoriale per poter davvero fare presa sul pubblico, e in cui i blockbuster d’intrattenimento dominano incontrastati sulle classifiche dei boxoffice.

Ma c’è stato un tempo in cui non era così.

C’è stato un tempo in cui il cinema non era né spettacolarità né immaginazione, né intreccio né montaggio: una sorta di preistoria per questo mezzo ancora ben distante dall’essere un’arte, in cui raramente veniva offerto al pubblico qualcosa che non fosse la ripresa statica di un panorama, e in cui ciò che più si avvicinava al concetto di narrazione era la ricostruzione di un evento storico o religioso.

Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora, e tra campi e controcampi e piani sequenza, tra trucchi prostetici ed animatronic, e tra schermi blu e computer grafica, siamo arrivati fino al nostro cinema contemporaneo fatto di draghi, alieni, mostri, spade laser e supereroi che saltellano da un universo all’altro.

E tutto questo non sarebbe stato possibile se in quella preistoria, in mezzo agli astanti con gli occhi spalancati davanti al cinematografo un prestigiatore con poco denaro ma tanta inventiva non avesse deciso sfruttare al massimo l’intero potenziale di quello strumento: quel prestigiatore era Georges Méliès, e se i Lumière avevano inventato il cinema, lui avrebbe inventato la regia.

Ma quali furono le effettive innovazioni apportate da Méliès, e perché hanno ancora ripercussioni sul nostro cinema?

La più nota è senza dubbio quella del “fermo macchina”, la quale consisteva nel filmare un determinato soggetto, fermare la macchina da presa, sostituire quel soggetto e far infine ripartire la macchina da presa dando l’illusione di una trasformazione. Se un po’ tutti conosciamo “Sparizione di una signora al Robert-Houdin” (1896), nel quale tale trucco era utilizzato per “trasformare” una donna in uno scheletro, meno persone sanno che questo nacque per un caso fortuito: pare infatti che durante delle riprese per strada a Parigi la macchina da presa si inceppò, portando un camion ad essere sostituito da un carro funebre.

Altrettanto importanti, anche se forse meno iconiche, furono soluzioni quali il mascherino (utilizzato per dividere l’inquadratura coprendone una parte), la carrellata (utilizzata assieme al mascherino ne “L’Uomo dalla Testa a Cucù”) o la dissolvenza.

Méliès fu addirittura uno dei primi a colorare le proprie pellicole, anticipando dunque una delle più importanti svolte tecniche della settima arte.

Ma perché nominare tutte queste innovazioni, senz’altro banali se viste con gli occhi dello spettatore contemporaneo, è così importante? Beh, perché anche il palazzo più imponente viene costruito a partire da un solo mattone, e queste soluzioni visive sono mattoni di partenza per ciò che oggi siamo abituati a guardare sugli schermi: perché dietro le spettacolari ed allucinanti trasformazioni cui assistiamo negli horror ci sono i fermi macchina di “Sparizione di una signora al Robert-Houdin”, perché  dietro gli split screen dei video musicali si cela “L’Uomo dalla Testa a Cucù”, perché dietro i colori sgargianti e le luci psichedeliche dei blockbuster contemporanei si cela quel mago del cinema cui dobbiamo dire grazie ogni volta che un effetto speciale ci fa spalancare increduli gli occhi come quelle masse incantate da un proiettore.

Le dimensioni del fantastico e della spettacolarità sono così radicate da così tanto tempo nella nostra idea di cinema che difficilmente ormai siamo in grado di scinderle da essa. L’idea di spettacolo cinematografico maggiormente diffusa nel pubblico odierno è quella di un viaggio di evasione dalla realtà quotidiana per abbandonarsi alle fantasie più sfrenate, lasciarsi trasportare dalla narrazione in un mondo dove gli eventi più improbabili e le creature più allucinanti divengono tangibili possibilità, e il motivo è presto detto. Semplicemente questo viaggio dura da ormai più di un secolo, e nel corso di questo abbiamo visto letteralmente di tutto, tanto che oggi non è più fisicamente possibile introdurre concetti nuovi, ma solo rielaborarne di vecchi per le nuove generazioni: Dagli intricati multiversi narrativi che ospitano le avventure dei supereroi in costume alle abominevoli creature che infestano i nostri incubi e tingono di rosso sangue le pellicole horror, dai più o meno riusciti adattamenti di classici della letteratura alle colossali epopee fantasy, dai complessi dilemmi etici spesso sollevati dalla fantascienza ai racconti a sfondo mitologico o religioso, passando per gli adattamenti animati dei tradizionali racconti per bambini e ragazzi e per i kolossal d’autore. Ma anche se come ormai sappiamo, la prima pietra su cui è stata edificata questa mastodontica chiesa è stata posta da Méliès, non dobbiamo pensare a questo regista come a un autore legato esclusivamente ad un genere specifico di film, anzi tutto il contrario: anticipando le logiche commerciali che avrebbero guidato le decisioni prese dai produttori delle grandi major fino ai giorni nostri, Méliès realizzò tutti i tipi di film in voga ai tempi, dalle vedute alle attualità (come “L’Affare Dreyfus”), fino a quelli che lo avrebbero reso così famoso da portarlo addirittura a diventare il primo regista della storia a subire plagi e pirateria: i film fantastici per l’appunto, il più famoso e celebrato fra questi è senza dubbio “Il Viaggio sulla Luna” (1902).

Un film che certamente non verrà ricordato per l’intricatezza della sua trama o per la maturità dei suoi contenuti, ma che ha fatto sì che le proprie immagini, estremamente innovative per l’epoca, restassero piantate nella testa degli spettatori come il razzo degli esploratori resta piantato sulla superficie della Luna, e con esse l’idea che il cinema potesse essere molto più di quanto era stato fino ad allora, che potesse essere un mezzo per superare i limiti di una realtà spesso ancora più grigia di una vecchia pellicola per dare forma a mondi, eventi e concetti che solo la mente umana è in grado di concepire, elaborare, e finalmente rappresentare.

Perciò, la prossima volta che vi esaltate per un’esplosione di CGI, che il vostro cuore perde un battito davanti a un mostro fatto di trucco prostetico, o che il vostro sguardo si perde in un mondo nuovo fatto di blu screen, appena uscite dalla sala date un rapido sguardo alla Luna, perché tutto questo non ci sarebbe stato se un prestigiatore non avesse deciso di piazzare un volto su quella pallida superficie rotonda.

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