L'urlo della Marmolada e la risposta di Cremona - La Provincia

2022-07-24 00:37:26 By : Mr. Eric wu

Un boato spaventoso, simile a un’esplosione, sette giorni fa ha annunciato il distacco di un gigantesco seracco dalla cima della Marmolada. Un’incalcolabile quantità di ghiaccio e roccia è precipitata a valle come uno tsunami che tutto sommerge e travolge.

All’improvviso anche gli scettici hanno capito che il cambiamento climatico è una cosa seria, una minaccia reale, non lo spauracchio agitato da scienziati pazzi e catastrofisti. Finché si parla di scioglimento della calotta polare, deforestazione e desertificazione del pianeta o di fenomeni atmosferici estremi (tifoni, uragani, bombe d’acqua…) si aggrotta il sopracciglio, ci si preoccupa per cinque minuti e poi si passa oltre. Ma quando si stacca un pezzo di montagna, della nostra montagna di casa - o si attraversa a piedi il letto del più grande fiume d’Italia, il padre Po, e si vedono le campagne della fertile Pianura Padana arse da una siccità senza precedenti - non ce la si può più cavare con un’alzata di spalle o il fatalismo di chi pensa che, in fondo, così deve andare perché la natura vive di cicli e fa il suo corso indipendente da noi. No, non è più vero.

L’incidenza dell’Uomo - delle sue attività, delle sue scelte e dei suoi comportamenti - sui fragili equilibri del pianeta oggi è un fattore determinante. Vale per l’aria, per la terra e per il mare. Meglio: vale per l’inquinamento dell’aria, della terra e del mare.

Secondo un recente studio pubblicato su «Nature» (la più prestigiosa rivista scientifica internazionale) il peso antropico ha ormai superato quello della natura: significa che tutte le opere costruite dall’uomo (strade, edifici, dighe, ponti, ogni altra cosa prodotta in metallo, mattoni, vetro, plastica o qualsiasi materiale) pesa più di tutti gli animali, le persone, le piante e i microorganismi del pianeta messi insieme. E la sua massa raddoppia ogni 20 anni. 

«Dopo la tragedia della Marmolada, per la prima volta non ho sentito parlare di ghiacciaio killer o di montagna assassina», ha commentato Simone Moro, l’alpinista più titolato al mondo in tema di sicurezza in alta quota (nel 2001 interruppe un’ascesa al Lhotse che aveva preparato da mesi per salvare uno sconosciuto scalatore, ferito e lasciato solo dai suoi compagni di cordata: un gesto eroico che gli è valso la Medaglia d’oro al Valore civile).

Messaggio sottinteso: finalmente si sta capendo che la montagna (come la terra o il mare) non uccide, semmai il contrario. Finalmente si inizia a capire che il cambiamento climatico è un problema urgente e ineludibile, da affrontare subito, con provvedimenti concreti, e non solo a parole.

Se i ghiacciai si stanno estinguendo a ogni latitudine e nel solo arco alpino si sono ridotti di un terzo negli ultimi vent’anni, per evitare il ripetersi di nuove tragedie come la valanga in Marmolada la soluzione non può essere «chiudere» le montagne, dichiarare fuorilegge alpinisti, escursionisti e appassionati, ma bisogna fermare la macchina infernale che abbiamo lanciato a tutta velocità verso l’autodistruzione e invertire la rotta.

Bisogna compiere un’autentica inversione «a U» rispetto alle cattive abitudini e ripartire in direzione rispettosa e sostenibile.

«Per risolvere un problema bisogna essere positivi - è sempre Moro a suggerire, da bravo capocordata qual è -. A me piace paragonare il Pianeta a un’azienda in crisi, che è stata in amministrazione controllata e ora è in amministrazione... incontrollata. Non è ancora tecnicamente fallita, ma se non porta a casa anche piccoli risultati, se non fattura qualcosa, farà presto quella fine».

Ecco: iniziamo ad agire con piccole scelte e gesti concreti. Poco importa se l’indiano o il cinese non lo faranno: iniziamo noi. Anche perché i piccoli gesti sono contagiosi e la vera sfida della sostenibilità è buttare fuori dal mercato chi non rispetta le regole e l’ambiente, incentivando invece i virtuosi. Se si vuole, si può.

E per capirlo non c’è bisogno di andare lontano: la più bella dimostrazione pratica arriva dalla piccola, a volte vituperata, Cremona, e dalla sua industria più importante. L’Acciaieria Arvedi è la prima acciaieria al mondo a zero emissioni di anidride carbonica. Avete letto bene: la prima al mondo. Un primato certificato da un ente terzo accreditato a livello internazionale. Un orgoglio per l’intera provincia e l’economia cremonese. Soprattutto, un reale passo in avanti sulla strada della transizione ecologica, fra troppe promesse e parole vuote. Un costo sì, ma soprattutto «un’opportunità», l’ha definito il Cavaliere, sottolineando che «in prospettiva si tratta dell’unica possibilità di garantire competitività e continuità aziendale» perché «il Green Deal è l’unica risposta che possiamo dare al drammatico fenomeno del cambiamento climatico».

Quale sia l’alternativa l’ha dimostrato domenica scorsa la Marmolada. Con il suo spaventoso boato, i suoi morti e tutti i danni che ha provocato.

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