Recovery al via: asili, mense e milioni di alberi. Cinque miliardi per la scuola- Corriere.it

2021-12-28 07:23:20 By : Mr. Sebastian Wu

C’è sempre un momento in cui bisogna passare dalle parole ai fatti e per l’Italia è questo. Le centinaia di miliardi di euro in investimenti del Recovery a questo punto devono uscire dalle dichiarazioni o dai corposi documenti e diventare asili nido di calce e mattoni, impianti di smaltimento rifiuti, milioni di alberi nelle città più inquinate, comportamenti e risultati diversi da quelli degli ultimi decenni nei tribunali del Paese. Significa costruire una macchina in grado di fare qualcosa che in Italia non si è mai fatto: gestire efficacemente, in pochi anni, centinaia di miliardi di euro. Domani il più grande progetto di investimenti nella storia della Repubblica entra nel vivo. Sarà il ministero dell’Istruzione a pubblicare per primo una serie di bandi che, per volume finanziario e portata dell’impegno, superano di quasi 10 volte il valore degli altri 23 bandi apparsi fino qui sul sito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

L’offerta di domani include tre miliardi per generare in pochi anni 264.480 nuovi posti in asili nido e scuole per l’infanzia, più 800 milioni per costruire scuole nuove, più 500 milioni per ristrutturarne di vecchie, più altri 400 per fare più di mille mense e altri 300 per migliaia di palestre. In particolare al Sud. Bisogna partire ora, perché poi il tempo stringerà. Presto andranno fatte cose banali a dirle, ma non a farle: studi di fattibilità per costruire dal niente migliaia di asili nido e scuole d’infanzia, progetti da stilare, appalti da lanciare, lavori da assegnare entro giugno 2023 alle ditte vincitrici, personale da assumere, milioni di bambini da far entrare nel 2025 e 2026. E questo è solo uno spicchio di un piano quasi cento volte più grande: oltre 300 miliardi, se si includono i fondi italiani e quelli europei tradizionali, che non vanno semplicemente spesi come che sia. Ne vanno mostrati i risultati. Perché non basterà assumere 16 mila addetti negli uffici del processo, come si sta facendo: deve anche cambiare l’organizzazione dei tribunali, in modo che la durata dei casi civili di anno in anno cali fino a meno 40% nel 2025. Entro tre anni va anche assegnato un tutor a 720 mila teenager che hanno abbandonato o rischiano ad abbandonare la scuola. Entro il 2026 va portato il tasso di abbandono scolastico dal 13% al 9%. Bisogna piantare, in modo sensato da un punto di vista urbanistico, 6,6 milioni di alberi nelle prime 14 città italiane quando Roma — quella che oggi ne ha di più — ne conta non più di 330 mila. E via agendo sul tessuto vivo del Paese.

Ci riusciremo? E a quali indizi guardare per capire se teniamo il passo? Per ora mancano, anche all’amministrazione, due strumenti utili per sapere a che punto siamo e dove andiamo: manca un calendario dei bandi che usciranno, che aiuterebbe le parti interessate a programmare; e manca un libro di bordo che permetterebbe al centro del sistema di capire con un colpo d’occhio cosa sta filando liscio e cosa no. E sì che farebbe comodo, in base all’esperienza recente. Nell’ultimo settennato di fondi europei (2014-2020) l’Italia avrebbe dovuto spendere più di dodici miliardi l’anno, ma ne ha spesi circa sei. Nel 2022 e 2023 invece l’intera amministrazione deve impegnare e poi spendere circa 50 miliardi in ciascuno dei due anni per tenere il passo del Pnrr (40 miliardi all’anno nel primo biennio) e dei fondi europei vecchi e nuovi: quasi dieci volte di più di ciò che abbiamo realizzato di solito. Fattibile? Di certo per i meccanismi del Recovery sono state preparate corsie più efficaci del solito. L’area sulla digitalizzazione (33 miliardi) sembra poter procedere bene. Gli investimenti nella rete ferroviaria (25 miliardi) sono programmati da tempo. Superbonus immobiliare e incentivi di Industria 4.0 assorbono oltre 25 miliardi del Pnrr quasi in automatico. Ma segni di difficoltà si notano già nelle periferie d’Italia, presso gli enti che dovrebbero partecipare ai bandi con i loro progetti per ponti, scuole, termovalorizzatori. Emanuele Padovani, dell’Università di Bologna, ha studiato i bilanci dei comuni e scoperto che spesso sono ricchi in modo sospetto. Amministrazioni di aree certo non ricche come Torre del Greco, Cagliari, gran parte della Sardegna e in genere il 57% dei comuni italiani hanno visto aumentare nel drammatico 2020 il loro «risultato d’amministrazione». Cioè il tesoretto non speso, malgrado l’emergenza sociale del primo anno pandemico. In Italia — mostra Padovani — ci sono piccoli comuni in provincia di Sassari o Salerno con avanzi di cassa pari a diecimila o quattordicimila euro per abitante. Mentre nel 2020 si formavano le file del cibo alle parrocchie. È un segno dell’incapacità amministrativa di progettare, assegnare, spendere, rendicontare da parte di una miriade di soggetti che dovrebbero dar vita al Recovery. Perché non basta disegnare una scuola: bisogna saper progettare un quartiere dove quest’ultima si trova vicina alla «Casa di comunità» prevista dal Pnrr per la sanità territoriale, per esempio. A Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia, questo problema degli enti decentrati è ben presente. I comuni più piccoli, caotici o impoveriti dall’esodo pensionistico innescato da Quota 100 potranno chiedere aiuto all’Agenzia della Coesione per gli studi di fattibilità; alla Cassa depositi e prestiti per i progetti; alla Consip per scrivere gli appalti; all’Autorità anticorruzione per i bandi; al Gestore dei servizi energetici per mettere i pannelli fotovoltaici sui tetti degli ospedali o delle scuole. Ma queste ultime saranno migliaia e si capirà solo alla prova dei fatti se le strutture al centro terranno il passo delle richieste di salvataggio gestionale dalle periferie.

Intanto il governo ha chiesto a sua volta la consulenza di una «Struttura di supporto tecnico» della Commissione Ue per aiutare a dipanare la matassa delle funzioni fra le varie strutture di coordinamento centrali a Palazzo Chigi, al ministero dell’Economia o della Funzione pubblica. Una missione che si sta dimostrando meno difficile del previsto, per ora. Del resto i 51 «traguardi» ed «obiettivi» preliminari previsti per quest’anno sono già quasi tutti raggiunti. All’ultima relazione del Senato del 18 novembre ne mancavano dieci. Fra questi mancano una relazione per ridurre le omesse fatturazioni delle imprese (ma l’Italia ha chiesto la consulenza di Bruxelles anche sull’uso dell’intelligenza artificiale contro l’evasione), le norme per piantare i 6,6 milioni di alberi e l’acquisto di oltre tremila macchinari ospedalieri. Per ora l’Italia ha già avuto dalla Commissione 24,8 miliardi di acconto e verso febbraio dovrebbe riceverne altri 21, se passeremo l’esame dei primi adempimenti. Ma non si tratta più spuntare caselle di liste sulle carte da timbrare. È il momento dei risultati.

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