Street Art. Chi è LAIKA? - Taxidrivers.it

2022-10-16 01:57:08 By : Mr. Tengyue Tao

Digitando su google il nome Laika, appare in prima battuta una dolce cagnolina. Simil Jack Russell Terrier, è la prima ad andare sullo spazio per la stupida intraprendenza umana verso il progresso. Inconcepibilmente legato agli animali più che a se stesso!

Come seconda voce escono invece tutti i tipi di mini-van, caravan, grossi camper possibili ed immaginabili. Per incauta scelta di associazione, evocano l’idea di viaggio. Il loro marketing deve però aver distrattamente dimenticato che il viaggiatore, (il cane), fa una bruttissima fine.

Ciò detto e stendendo veli pietosi, ricercando ancora si va finalmente a finire sull’artista che porta lo stesso nome della sfortunata cagnetta e del camper ad essa connesso: LAIKA appunto!

Il titolo del film prende spunto dal titolo delle opere realizzate da Laika sulla rotta balcanica: Life Is Not A Game. Il poster è una denuncia esplicita della violenza esercitata dalla polizia sui migranti che provano il cosiddetto “Game”, come viene definito il tentativo di attraversare il confine con la Croazia. La scelta del titolo, con l’uso delle parentesi nella negazione, vuole evocare la doppia anima dell’artista, fra ironia e impegno sociale.

Cadenzato dai video-appunti amatoriali realizzati dalla stessa Laika, con cui l’artista, nel tempo, ha documentato le varie tappe del suo percorso creativo e i suoi commenti sui fatti più importanti che hanno segnato il drammatico biennio 2020-2021, il film vuole essere una riflessione sull’arte e sulla contemporaneità per comprenderla più a fondo

Il film racconta gli ultimi due anni di pandemia, visti attraverso gli occhi dell’artista, si fa per dire, dato che sono sempre coperti da una maschera. Laika, una delle poche e coraggiose donne che si occupa di street art, ha colto sfumature, tensioni, assurdità del periodo pregresso, legato alla pandemia, al fenomeno migratorio, a ingiustizie sociali, politiche di varia natura.

Ricollocandole attraverso il linguaggio dell’arte, su un piano di denuncia, misto di creatività e ironia che avvalora e da forza con un linguaggio di immagini pop agli sconquassi che avvengono oggi, il film funziona.

Chi infatti più di un artista è in grado di cogliere sfumature e tormenti di un lockdown prolungato? O di contrastare le stupidaggini di politici pressapochisti dediti a guerra e cazzate? Chi è in grado di portare luce o bellezza o anche solo ascolto nei dormitori improvvisati, al confine con la Croazia, tra boschi e cemento, rifugi precari di migranti? Chi ha difeso Fen Xia, nota come Sonia, proprietaria di un ristorante cinese a Roma, offesa e accusata di portare il virus, in quanto di origine asiatica?

Questi sono solo alcuni dei topics portati avanti da una Banksy italiana (romana) e donna, sorta di ‘Robin Hood’ e un giustiziere della notte, per una volta, solo al femminile.

Febbraio 2020, poche settimane prima di essere travolti dalla pandemia, la street artist Laika inizia ad occupare le prime pagine dei giornali più importanti del mondo con le celebri opere “#Jenesuispasunvirus” e “L’abbraccio”. La prima raffigura Sonia, la nota ristoratrice cinese della capitale, il cui poster viene affisso nel quartiere Esquilino di Roma. Il disegno racconta la prima fase dell’epidemia di Coronavirus, quando l’emergenza era ancora confinata quasi esclusivamente in Cina, mentre in Italia si registravano numerosi episodi di discriminazione ai danni di uomini e donne dai tratti somatici orientali. La seconda, invece, è il grido di denuncia dell’artista per la detenzione di Patrick Zaki, il giovane studente egiziano dell’Università di Bologna prigioniero in Egitto. Nel poster, affisso nei pressi dell’Ambasciata egiziana di Roma, Giulio Regeni abbraccia Zaki rassicurandolo del fatto che “stavolta andrà tutto bene”. La macchina da presa segue Laika nei suoi blitz notturni, nel confinamento durante i duri mesi del lockdown, per poi accompagnarla in Bosnia all’inizio del 2021, quando l’artista decide di intraprendere il viaggio sulla rotta balcanica per denunciare le atroci condizioni di vita dei migranti; infine in Polonia, al confine con l’Ucraina, nell’aprile del 2022.

Stencil, frescoes, murales. La produzione è vasta. Sono sempre più numerose le presenze femminili nel mondo dell’arte di strada: artiste talentuose che denunciano e producono dipingendo sui muri, su palazzi. Sbucano da sotto i ponti. Le troviamo lungo i binari dei treni, nelle stazioni, nelle strade. In luoghi abbandonati dove cemento e mattoni sgretolati vengono trasformati in gallerie a cielo aperto.

Armate di speciali colle, bombolette, spray di vernice o adesivi esse sfiorano e arricchiscono le periferie di tutto il mondo. Spesso scelgono di essere anonime e lavorano senza avvalorarsi del proprio ego, in segretezza, dato che al loro posto dovrebbero parlare le opere. Di questa scelta parla il film che, nel caso di una donna, vuoi per agilità notturna, per propensione fisica, per difficoltà di azione in circospette modalità, sarebbe più indicato al maschile. Invece no.

Il film coglie la bravura e il coraggio di una delle più interessanti street artist, innanzitutto perché in Laika emerge l’essenza del contemporaneo malato. Lei sottolinea i nodi focali di cose che non vanno. Li giace il potere del suo lavoro. Addobbato con una presunta ironia, che di ironico ha molto poco.

Ad esempio nel famoso abbraccio tra Regeni e ZAKI, che illude con un ‘Andra tutto bene’ frase pandemica per antonomasia, assurda e inconcludente, quasi come le relazioni internazionali con tra l’Italia e l’Egitto. E i reciproci servizi segreti.

Poi il documentario rimane tradizionale e non vanta una totale e scapestrata originalità, come invece è quella dell’artista. Interessante la scelta musicale; in alcuni casi autistica, ripetitiva, martellante, forse per questo efficace.

A febbraio 2021 Laika ha intrapreso un viaggio in Bosnia nei luoghi simbolo della rotta dei Balcani. Attraverso una serie di poster, l’artista ha voluto denunciare i respingimenti e le violenze della polizia croata nei confronti dei richiedenti asilo. Un monito all’Unione Europa affinché accolga queste persone e garantisca loro delle condizioni di vita umane. I poster sono stati affissi in alcuni luoghi simbolici che rappresentano la vita dei migranti come: i rifugi di fortuna nei quali abitano, i boschi di frontiera dove tentano il ‘game’, il campo di Lipa e nei pressi del campo Miral.

Life Is (Not) A Game rappresenta il mio esordio alla regia. È un progetto che è nato all’improvviso, da una necessità inaspettata. Da appassionato e poi da studioso, ho sempre prediletto quel tipo di cinema cosiddetto “popolare”. Fruibile da ogni tipo di pubblico. Predisposto a presentarsi allo spettatore senza sovrastrutture. Un cinema per tutti e accessibile da tutti. Non per questo superficiale o privo di contenuto. Ho una passione più ampia, per ogni genere di arte popolare. E in questo universo variegato c’è la street art, che sta trasformando i centri urbani in veri e propri musei a cielo aperto. Osservando le opere di Laika che comparivano sui muri di Roma, ho colto nel suo stile un atteggiamento che si sposa alla perfezione con il mio modo di concepire l’arte. Semplicità, messaggi diretti, sottile ironia, tutto sotteso da un’importante denuncia sociale.

Inoltre il suo anonimato e un look da “supereroina del popolo” hanno reso Laika affascinante personaggio cinematografico. Così ho sentito l’esigenza di “giocare” con lei. Sorta di  filtro per una riflessione sulla contemporaneità che abbracciasse ogni aspetto della vita sociale e che includesse in qualche modo anche una dimensione metalinguistica. 

Grazie anche alla disponibilità dell’artista, che si è concessa completamente al progetto, Life Is (Not) A Game ha l’ambizione di non presentarsi come un convenzionale documentario sull’arte, né come un classico biopic. Invece un racconto del presente condotto con diversi registri, un film stratificato, ricco di citazionismo, irriverenza e critica sociale.

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