Trieste capitale mondiale della pasta? La storia del Pastificio Triestino - TRIESTE.news

2022-06-25 12:38:35 By : Mr. Scott Zhai

07.05.2022 – 07.01 – La storia del Pastificio Triestino riflette specularmente l’evoluzione dell’industria alimentare tra ottocento e novecento: da una semplice produzione casalinga, di stampo artigianale, a una produzione massificata, volta a soddisfare gli appetiti del mercato. La nascita dei moderni pastifici è connessa alla scoperta, avvenuta agli inizi dell’ottocento, del sistema di essicazione della pasta che permise la sua conservazione e conseguentemente la vendita della pasta come “prodotto”. Le prime macchine erano di legno e consistevano in un torchio a vite col quale far uscire la pasta dalla forma e da un “tagliatore” col quale selezionare la tipologia di pasta, se lunga o corta. Verso il 1870, nella provincia di Napoli, comparvero i primi torchi idraulici della ditta C e TT Pattison; avvisaglie di un passaggio a sistemi completamente di ferro, azionati con la pressione idraulica. Le fasi della produzione, tutt’oggi presenti nei moderni pastifici, erano le seguenti: l’impastamento, col quale mescolare farina e acqua; la gramolatura, onde amalgamare il pastone; la torchiatura, durante cui si tagliava la pasta nella foggia desiderata; l’asciugamento che poteva avvenire all’aria aperta o con procedimenti artificiali. La fase più delicata era proprio quest’ultima; quell’essicazione tale da garantire un prodotto sano e vendibile sul mercato. Pertanto i pastifici solitamente sorgevano in luoghi isolati e lontani dal mare, onde evitare ogni minima traccia di umidità; e si preferivano per l’asciugamento le sale esposte alla luce naturale del sole. Le fabbriche di pasta, specie nell’ottocento, si sviluppavano inoltre su più piani: col sottosuolo dedicato all’imballaggio, il pianoterra alla produzione in sé e all’officina per le riparazioni, il primo piano all’asciugamento (spesso con apposite “celle” per la deumidificazione) e il secondo piano ai locali di asciugamento definitivo per le più impegnative paste lunghe. A ciò andava sommato un cortile per le operazioni di carico/scarico e nel caso dei Pastifici di maggiori dimensioni un locale di grande altezza, inframezzato da più piani comunicanti tra loro, onde collocare in alto le impastatrici e in basso i torchi per il taglio della pasta.

Nel caso giuliano, nonostante le origini austriache, l’Esposizione di Vienna e delle Arti Industriali di Trieste del 1871 ci permette già di conoscere una realtà affermata, ovvero il “Pastificio Fratelli Girardelli, Società Anonima” che ritroviamo poi insignito di premi per l’Esposizione Agricola di Trieste del 1882. In quest’occasione apprendiamo che l’industria dei Girardelli produceva giornalmente 25mila kg di pasta. L’entità e la varietà dell’industria triestina ante guerra è stata spesso sottovalutata, favorendo invece il ruolo della città-porto; i Pastifici ne sono l’ennesima conferma, perchè accanto ai Fratelli Girardelli troviamo tre Pastifici di una certa importanza, due dei quali ricordati come la “Fabbrica di Paste Alimentari” di via Bacchi 12 e la “Società Nuovo Pastificio Triestino di Petronio e C.i.“. Il Pastificio Triestino nacque quale fusione tra la realtà industriale dei Fratelli Girardelli e quella di Petronio: nel 1909 infatti l’impresa di quest’ultimo viene citato dalle fonti come “Pastificio Triestino, Società per Azioni” con sede in via della Tesa. C’è pertanto un cambio legale, confermato dalla Guida Generale per l’Industria della Camera di Commercio dello stesso anno, dove compare anche il Consiglio di Amministrazione. Ritroviamo infatti quale presidente Vittorio Girardelli e come consiglieri rispettivamente Luigi Pascutti e Marino Petronio, entrambi co-proprietari del precedente Pastificio. Nei decenni successivi gli avvicendamenti all’interno del Consiglio di Amministrazione, con quella molteplicità di cariche e riconoscimenti caratteristica dei personaggi triestini a inizio 900, conferma la rilevanza del Pastificio: ritroviamo infatti come Presidente Edmondo Ricchetti, Direttore delle Assicurazioni Generali, vice-presidente della Camera di Commercio e membro del Consiglio di Amministrazione dell’Industria degli Oleifici Triestini; e nel Consiglio di Amministrazione Gustavo Alberti, Direttore della Banca Commerciale Triestina e Vittorio Venezian, Presidente della Camera di Commercio. Negli anni Venti il Presidente Gustavo Schutz è membro a propria volta del Consiglio della Società della Prima Pilatura di Riso (dove oggi sorge la Risiera di San Sabba) e degli Oleifici Triestini. Le responsabilità e i ruoli dirigenziali nel campo delle industrie alimentari pertanto si sovrappongono e intrecciano, legandosi a doppio filo col mondo finanziario triestino, pronto a riciclarsi con capitalistica disinvoltura prima al servizio dell’Aquila imperiale e poi del Fascio Littorio. Proprio infatti tra gli anni Venti e Trenta il Pastificio Triestino supera la crisi connessa al passaggio di regime e conquista il mercato italiano, con una produzione, per quantità e numero di assunzioni, che lo pone in primo piano a Trieste, secondo solo alla Fabbrica della Birreria Dreher.

Come poté pertanto un’industria di questo calibro scomparire? Il declino iniziò durante la Seconda Guerra Mondiale; e si consumò negli anni Cinquanta del novecento, nel contesto di un mercato radicalmente diverso. La storica Diana De Rosa – il cui ruolo negli anni Ottanta nell’ambito dell’archeologia industriale triestina andrebbe valorizzato maggiormente – riporta a questo proposito un passaggio dell’opera di Giulio Roletto, “Trieste e i suoi problemi” (1952):

“Il Pastificio Triestino che aveva acquistato larga rinomanza in loco e fuori, con una potenzialità giornaliera di 400 q.li di pasta e di 15 q.li di biscotti, è stato preso dalla morsa delle vicende sfavorevoli degli ultimi anni, non soltanto per i limiti che tali vicende hanno imposto alla dilatazione commerciale, ma anche per una serie di fatti per cui la vita di questa attività indubbiamente interessante agli effetti del traffico triestino, ha dovuto soggiacere ai fenomeni di indebolimento contro i quali ha dovuto intervenire il G.M.A. (Governo Militare Alleato) con i suoi soccorsi e con i suoi espedienti che rispondono alle necessità“.

Verso il 1957 infatti il Pastificio venne chiuso e raso al suolo; oggigiorno non rimane nulla dell’originario edificio primo novecentesco. Le macchine passarono al Pastificio “Le Campane di San Giusto” di Ossoinack, il quale per un breve periodo ereditò il ruolo del Pastificio, divenendo nel 1959 lo “Stabilimento Paste Alimentari, Pastificio Triestino, Società in nome collettivo di Pauluzzi e C.i.” e infine il “Pastificio Miramar”.

Ma qual era l’originario aspetto del Pastificio Triestino? L’edificio venne costruito dall’impresa Mazorana e Comel nel 1909, in un’area di fronte all’attuale Piazza Foraggi e Viale Ippodromo, oggigiorno sede di abitazioni. La pianta del 1909 rivela un edificio principale di oltre mille mq, organizzato come una grande sala di produzione inframezzata da tre piani decrescenti: l’operaio al terzo piano infatti azionava le impastatrici che rovesciavano il proprio contenuto nelle macchine addette all’amalgama (gramole); l’addetto al secondo piano a propria volta versava l’amalgama di acqua e farina nei torchi al primo piano che lo sezionavano nella pasta vera e propria. Era un esempio di Pastificio moderno, tale da concentrare in un’unica grande sala tutte le funzioni dell’azienda. Sotto il profilo architettonico vi era un grande lucernario tale da garantire luce naturale all’intera fabbrica, affiancato da una serie di finestre ad arco ribassato. La facciata rivolta verso Viale Ippodromo aveva la funzione di rappresentanza, con un pianoterra rivestito di bugnato, finestre con cornici di pietra e due lesene di intonaco, le quali incorniciavano la monumentale scritta “Società Anonima Pastificio Triestino“. La titolatura aveva a sua volta la funzione di nascondere il lucernario di metallo e vetro retinato. Nei progetti successivi, risalenti rispettivamente alla fine del 1909 e al 1911, compare un edificio a un solo piano specificatamente dedicato all’asciugamento e un ulteriore magazzino per la pasta. Tra i piani di progetto attira l’attenzione quello per il camino di mattoni a pianta ottagonale annesso al Pastificio, con i calcoli per la pressione del vento di Bora.

Fonti: D. De Rosa, A. Fumarola, E. Valcovich (coordinatore), Il pastificio triestino di viale ippodromo: una industria dei primi anni del novecento, Università degli studi di Trieste, 1984

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